L’abbigliamento che indossiamo ci rappresenta, è un modo per comunicare qualcosa di noi, per passare un’idea di quello che siamo o che vorremmo essere, per questo nella sua scelta siamo generalmente piuttosto pignoli. Tuttavia non siamo altrettanto pretenziosi quando si tratta degli spazi che abitiamo, soprattutto quelli pubblici e collettivi che, per quanto accattivanti e alla moda, raramente sentiamo “nostri”. Eppure le due parole abito e abitare condividono la stessa etimologia: derivano dal verbo latino habere “avere” che conserva dentro di sé un significato profondo legato al senso di appartenenza e di riconoscimento.
Perché quindi scegliamo l’abito ma non gli spazi che abitiamo? Perché accettiamo luoghi che non ci rappresentano?
Le ragioni sono diverse, la prima è che le caratteristiche dello spazio ci vengono di solito imposte dall’alto, senza consultarci e senza darci modo di esprimere dissenso, il secondo è che spesso decisori politici e progettisti piuttosto che interpretare vissuto e valori di chi dovrà indossare la città, preferiscono imporne di nuovi. Esistono però delle eccezioni che dimostrano come in ambito progettuale, soprattutto in contesti complessi, non sia possibile prescindere dalla lettura e dall’ascolto della storia di chi ha abitato, abita e abiterà gli spazi.
È questo il caso dello studio Noero Architects, di Cap Town (Sud Africa) che ha contributo alla ricostruzione dell’Africa post-apartheid proponendo progetti fatti su misura per le persone, coerenti con il loro vissuto di individui e di comunità.
New Brighton – Port Elizabeth, Sud Africa
5 aprile 2022
tempo di lettura: 6’ 20’’
La filosofia dello studio deve molto alla visione del suo fondatore, l’architetto Jo Noero che da sempre insegna e dimostra il potere comunicativo, politico e sociale dell’architettura che deve saper maneggiare lo spazio e i materiali sapientemente, trasformandoli in potenti mezzi di espressione, portatori di valori, simboli, messaggi condivisi, facilmente comprensibili da coloro che li frequenteranno e li vivranno. In un certo senso Noero crede e promuovere l’idea che l’architettura sia una forma di linguaggio costituito da relazioni spaziali e che come tale debba essere usata per raccontare e costruire storie significative.
La produzione architettonica dello studio Noero Architects è ricca di progetti che con coerenza ed efficacia dimostrano il potere politico e culturale dell’architettura, ma l’esempio più brillante è senza dubbio il complesso culturale pubblico di Red Location, a New Brighton, Port Elizabeth, una delle più famose blacktown sorte durante l’apartheid. Apartheid è un termine afrikaner che significa letteralmente “separazione”, “partizione” e che definisce la politica di segregazione razziale, istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del Sudafrica e rimasta in vigore fino al 1991, che ha influenzato moltissimo anche il paesaggio urbano; stando alle norme bianchi e neri dovevano vivere in luoghi diversi, alla popolazione indigena era vietato l’uso di spazi pubblici e culturali, tanto da arrivare a relegare le comunità nere in città costruite da zero, in luoghi inospitali, senza servizi e con risorse così scarse da gettare intere generazioni in una condizione di povertà economica e intellettuale senza precedenti. New Brighton è nota sia per essere stata una delle prime città interamente nere, sia per aver accolto, negli scantinati delle sue case, leader come Nelson Mandela, Walter Sisulu e Govan Mbeckidelle che organizzarono le prime forme di resistenza non violenta e di disobbedienza civile dell’African National Congress (ANC).
Proprio in quanto simbolo di resistenza e luogo di importanti tradizioni orali e di ricordi, il governo e le istituzioni hanno scelto la città come volano di quel percorso di rinascita e ricostruzione dell’Africa che, cominciato nella metà degli anni Novanta, è tutt’ora in corso. L’opera di Jo Noero si inserisce proprio all’interno di questa ricostruzione; la forza della sua visione sta nell’aver compreso che così come per cinquant’anni lo spazio era stato usato come strumento per separare, istituire gerarchie, segregare e marginalizzare, ora avrebbe potuto essere utilizzato come mezzo per unire, riappacificare, restituire libertà, tanto nella sua natura pubblica che privata.
Al concorso per la trasformazione di New Brighton in polo culturale, indetto nel 1998, Noero presenta un progetto con la comunità al centro, rispettoso dei linguaggi formali e materici locali (case a un piano, scuole a due piani, le coperture a shed, ecc.) e con chiari rimandi alla storia, fatta di frustrazioni, difficoltà, discriminazioni e al futuro fondato su gioie, valori e visioni di libertà. Lo studio vince il concorso dando il via alla costruzione di un sistema di edifici basato sulla relazione tra spazio privato e pubblico quest’ultimo inteso come materia plastica e mezzo di connessione che unisce gli edifici e che diventa scenario di vita, luogo di relazioni e di espressione. Questa simbiosi pubblico/privato si ritrova ad ogni scala del progetto e come un mantra armonizza la complessità del polo culturale composto dal Museo dell’Apartheid (conosciuto come il Museo della lotta), una galleria d’arte, una biblioteca e nuove abitazioni. Lo stesso museo è organizzato intorno ad un mix di volumi, ciascuno contenente un “pezzo di storia”, immersi in un magma spaziale destinato alla sosta e alla riflessione, offerto ai visitatori come occasione per dare ascolto al passato e forma al futuro.
Noero si inserisce nel contesto di Red Location senza mai perderlo di vista e trasforma il progetto in un modello progettuale, il “self-help model” applicato ad ogni tipologia di edificio, declinabile così: importanza del processo piuttosto che del risultato, impiego di materiali, manodopera e tecniche locali, auto-costruzione, reinterpretazione di tipologie spaziali e formali e informali della tradizione, operazioni economiche di microcredito, coinvolgimento della comunità e della municipalità, budget contenuto. Una sorta di etica quotidiana che celebra i luoghi di vita e di lavoro, i materiali ordinari e la dimensione civica della vita urbana e che ha permesso a Red Location di migliorare non solo le condizioni sociali, politiche ed economiche del luogo, ma di emancipare l’intera comunità.
Ad un occhio distratto il complesso di Red Location appare semplicemente come un buon progetto, ma per chi è nato e cresciuto a New Brighton quegli gli edifici sono parte integrante della realtà e del DNA, uno spazio trainante, di riscatto, che rinforza e rende onore alla realtà e alla storia, alle persone che lo vivono, trasformandosi da paesaggio contemplativo a paesaggio attivo, valorizzante delle relazioni e dell’incontro.
Il progetto è tutt’ora in corso, diversi elementi sono in attesa di essere realizzati, dimostrando che progettare un vestito su misura della comunità richiede tempo, per ascoltare e co-progettare. Noi designer e progettisti, siamo disponibili ad affinare sensibilità e pazienza? E soprattutto, noi cittadine e cittadine, siamo pronti a far valere il nostro diritto di scegliere quali spazi abitare e quali luoghi indossare?
La storia del progetto Red Location è ben raccontata nel libro “Red Location Cultural Precint – Noero Architects” curato da Samanta Bartocci ed edito da ListLab. Per approfondire e immergersi nella visione di Jo Noero, vai al catalogo!