Ubuntu – Spirito d’Africa

Secondo le previsioni dell’ONU la popolazione dell’Africa (che ad oggi conta circa 1 miliardo di abitanti) è destinata a raddoppiare nel 2050 e a quadruplicare entro fine secolo.

Le megalopoli continuano a crescere, senza sosta, ispirate ai valori della modernità e del progresso e fedeli a forme di stampo euro-asiatico, noncuranti della cultura urbana africana. Uno scollamento che ha radici nell’idea che, prima del colonialismo europeo, in Africa non ci fossero città, nonostante gli avventurieri occidentali del XVII secolo registravano che:

"La città è ricca e industriosa. È così ben governata che il furto è sconosciuto e la gente vive in una tale sicurezza che non ha porte alle sue case."
Lourenço Pinto, Benin City – 1691

Trecento anni dopo, nel 1977, nel libro “African Cities and Towns Before the European Conquest” anche Richard W. Hull parla di città africana, descrivendo un’urbanistica pre-coloniale molto peculiare perché fondata su UBUNTU, l’ideologia nativa della comunanzaUbuntu in lingua bantu significa: “io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo“, un principio che racchiude un nucleo di valori comuni a tutti i popoli africani e che, secondo la filosofa Augustine Shutte, “trova nella città il suo mezzo di espressione più potente”.

Africa

22 marzo 2022

tempo di lettura: 6’ 40’’

Hull descrive le città africane come “organismi vivi e socialmente consapevoli, capaci di irradiare il patrimonio culturale delle etnie che vi abitavano perché costruite secondo un’organizzazione spaziale coerente con i valori tribali tradizionali”; nelle città africane pre-coloniali prevalgono spazi di condivisione e la permeabilità tra spazio pubblico e privato è una fonte di sicurezza. Caratteristiche estranee agli interventi urbanistici contemporanei che impongono una tipologia edilizia uniforme, con layout spaziali rigidi e le recinzioni tra gli edifici.

River Park Estates, Abuja (Nigeria) © shutterstock

La comunanza e la solidarietà continuano ad essere i valori cardine degli insediamenti informali (slum), dove le persone vivono in stretta vicinanza e i membri di ogni comunità elevavano gli interessi comuni al di sopra di quelli personali. Mentre nella città pianificata dall’alto impera il feroce individualismo occidentale e problemi sociali come l’aumento della criminalità urbana e la scarsa igiene e cura, sintomatici di un’insoddisfazione degli abitanti che non trovano nella città alcun rimando ai loro valori culturali autentici. A tutto questo si aggiunge il retaggio dell’aparthaid che ha contribuito ad una frammentazione sociale, spaziale e culturale difficile da sanare.

Slums in Lagos (Nigeria) © shutterstock

Viene naturale chiedersi se ci siano alternative e se queste nuove città possano essere costruite in altri modi. Fortunatamente si sta affermando una nuova generazione di urbanisti e architetti africani (figure fino a ieri difficili da immaginare in un contesto che negava l’educazione alle popolazioni indigene) che stanno riscattando la loro cultura, attraverso una rinascita della filosofia dell’architettura e della città africana. Vediamone alcuni.

MASS Design Group (Rwanda)

Fondato da Christian Benimana direttore dell’African Design Centre, Il MASS è un programma educativo finalizzato a formare la nuova generazione di architetti africani secondo il metodo Lo-fab, nel senso di “locally-fabbricated”, un approccio focalizzato sulla specificità dei contesti locali e sulla centralità del coinvolgimento della comunità, di chi userà e di chi costruirà un edificio, usando materiali e tecniche costruttive locali. MASS aspira a diventare portavoce di una architettura contemporanea esemplare radicata nella specificità di un luogo e centrata sulla persona.

Ilima primary school, fabbricazione di pareti mobili © MASS Design Group 

Bauhaus Experimental Buildings

Dal 2012 Bauhaus Weimar e Istituto Etiope di Architettura organizzano percorsi didattici e progettuali che coinvolgono gli studenti nella messa a punto di unità abitative a basso costo e a basso impatto, chiamata tipologia “SECO” Sustainable Emerging City Unit. Si tratta di costruzioni economiche prefabbricate, realizzate con materiali locali e assemblate con l’impiego di manodopera locale; sono unità abitative leggere, autocostruibili e adatte anche a contesti molto densi, come gli slum.

Unità abitativa SECO © Bauhaus Experimental Building 

CMAP (Collaborative Media Advocacy Platform) 

Fondata dal nigeriano Michael Ewemedimo si tratta di un ecosistema di strumenti mediatici – petizioni, radio e community planning – per dare voce alle comunità informali di Port Harcourt, in Nigeria, ignorate e minacciate dallo sviluppo urbano. Il progetto sta dimostrando quanto i media possano contribuire a costruire comunità e a tutelarne il senso di appartenenza, comunanza e fratellanza, contribuendo attivamente a fare e a pensare città.

Collaborative Media Advocacy Platform © CMAP 

Nlé

I temi cardine che guidano la pratica progettuale di questo studio sono l’umanità e l’ambiente. Secondo il fondatore, l’arch. Kunlé Adeyemi, l’urbanizzazione è il modo in cui siamo capaci di coltivare l’ambiente umano e salvare il pianeta significa mettere in discussione il modo in cui viviamo e capire come convivere con l’ambiente. Lo studio è conosciuto per il Makoko FLoating System (MFS), un sistema di unità abitative galleggianti, fatte di legno e acciaio, assemblabili con attrezzi manuali. A partire dalla prima città sull’acqua nei sobborghi di Lagos, il MFS è ora un modello esportato in tutto il mondo.

Makoko Floating School 2016 – Lagos (Nigeria) © Nlé

NOERO ARCHITECTS

Lo studio, con sede a Cape Town, South Africa è noto per aver accolto la sfida di “rifare l’architettura” dopo la fine dell’apartheid nel 1994. Il fondatore, Jo Noero, sostiene il valore sociale dell’architettura e il suo potere di trasformare la vita delle città e delle persone che risiede nella sua capacità di intrecciare pratiche quotidiane e spazi. Uno dei progetti più noti è il museo a Red Location (la prima township nera di Port Elizabeth, luogo di lotta durante gli anni dell’Apartheid) dedicato proprio alla lotta in Sudafrica che è stato progettato in collaborazione con gli stessi abitanti, considerati partecipati attivi e non meri consumatori o visitatori (ne parleremo più approfonditamente nella prossima cartolina).

Red Location © Noero Architects Archives

L’emergere di e(ste)tiche africane orientate al futuro ci raccontano di un’Africa contemporanea pronta a riscattare il significato più profondo dell’antico principio UBUNTU, che sta dando vita ad un’architettura che va oltre l’edificio, che è uno strumento con un impatto sociale allargato e curativo, e che come tale ha il dovere di portare bellezza e qualità dell’abitare, attraverso il coinvolgimento della comunità e il rispetto delle tradizioni. 

Ravi Naidoo di Design Indaba recentemente ha affermato:

"c’è una tensione palpabile, stiamo costruendo una grande piattaforma pan-africana capace di promuovere la creatività e convertire l’ispirazione in azione!"

Che sia giunto il momento di farci permeare da questa energia creativa africana?

PS: Quale occasione migliore di questa per rendere omaggio a Diébédo Francis Kéré, architetto del Burkina Faso, berlinese d’adozione, Pritzker Prize 2022.